TUSCANY CROSSING  27 aprile 2013
 

 

Scritto da   MICHELE ROSATI

 

 

Una giornata particolare.

 

Sabato mattina ore 2:20 sveglia, vado in cucina e mi preparo 3 etti di pasta olio e parmigiano, pane e mortadella che, nonostante l’orario insolito, trangugio piuttosto voracemente. Dalla porta-finestra con le tende scostate noto ancora diverse luci accese negli appartamenti del condominio di fronte: mi chiedo divertito se, dopo avermi visto mangiare in piena notte con indosso solo un paio di slip, i vicini non si aspettino forse, come da fantozziana memoria, di vedermi saltare dal balcone per prendere al volo il 22 barrato!

In realtà alle 3:20 ho appuntamento con Lorenzo Bianchi (quello cui 4 discepoli buontemponi hanno dedicato una staffetta). Una volta notata l’espressione distesa ed entusiastica, più che dipinta direi scolpita sul suo volto, non mi trattengo dal fargli notare come i soldati che nel ’41 partivano per il fronte russo dovessero avere un’aria più allegra: vuoi per il sonno, vuoi  per la tensione, lo humor non viene recepito e l’espressione si trasforma immediatamente in quella di prigioniero catturato dall’Armata Rossa!

Prossima meta casa Fusi, dove raccogliamo Simone che, non appena salito in macchina, ci racconta come abbia fatto 2 staffette della Siena-Montalcino il giovedi’, la sera prima sia stato in pizzeria e poi in discoteca, lanciandosi pure in audaci conquiste sentimentali ..... a me e Lorenzo e’ apparso subito chiaro che fosse in grado di lottare per l’assoluto!

Ore 4:20 arrivo a Castiglion d’Orcia e ritiro dei pettorali da un assonnato, ma giustamente orgoglioso, Roberto Amaddii. Atmosfera a dir poco grottesca: un piccolo borgo che alle cinque del mattino, buio ancora pesto, si trova invaso da una pletora di atleti, il cui vocìo, già di per se stesso potente, viene spesso coperto dallo stentoreo speaker: continuando con il parallelo bellico, visti i luoghi della gloriosa resistenza del giugno 44, mi aspetto a momenti l’incursione di un manipolo dell’ANPI per ricacciare indietro l’invasore. Invece l’accoglienza si dimostra calorosa e lo sarà sino alla notte seguente! 

Abituato alle gare domenicali della provincia, noto immediatamente la differenza faunistica dei partecipanti: tutti parlano delle gare, quasi tutte ultramaratone, che hanno fatto o sono in procinto di fare senza che nessuno sbandieri, Fusi a parte, mancanza di allenamento, scarsa condizione atletica, dolori acuitisi l’ultima settimana ed altre immaginifiche patologie. Non che manchi la consueta dose di fissazione, anzi; poco prima della partenza, volendo fare una battuta con un tipo dal burbero aspetto montanaro che fa stretching su una balaustra accanto a me, gli dico che e’ la mia prima esperienza e chiedo se per scaldarsi siano più adatti degli scatti veloci in salita oppure una mezz’oretta a passo costante: ma ve lo immaginate voi? Beh, mi rendo definitivamente conto che non e’ la mia giornata per fare dello humor: questo parte spiegandomi che e’ una questione esclusivamente di testa e con tecniche, che definirei da psicanalisi, tenta di motivarmi e infondermi quella che definisce “volontà di potenza”; mi chiedo, tra il divertito ed il preoccupato, se non stia per tirare fuori dallo zainetto il pendolino per l’ipnosi oppure se tenterà un approccio esplicito tra i boschi lungo il percorso: mi guardo intorno ma non vedo ne’ Lorenzo ne’ Simone per fare le dovute presentazioni, peccato!

Ore 6, albeggia e finalmente si parte (il burbero montanaro é fortunatamente un bel po’ più avanti). Come stabilito, Lorenzo Simone ed io stiamo insieme e risparmiamo energie per il prosieguo della lunga gara: le salite, anche leggere, le camminiamo per non accumulare acido lattico; le discese le camminiamo per non indurire i muscoli; in pianura non corriamo più di duecento metri di seguito perchè non ci rimangano sulle gambe: in pratica siamo dei pensionati che portano a spasso il cane ed infatti arriviamo a Montalcino, 25Km, dopo 4 ore. Gli unici muscoli che hanno lavorato sono quelli della lingua, ciononostante stiamo fermi al ristoro un buon quarto d’ora scambiando battute con Paola e Michela, le buone samaritane che ci rifocillano. Simone é scatenato, nel senso che non riesce a smettere di chiacchierare e così Lorenzo ed io ci avviamo. Il passo é ancora lento, troppo, così decido di prendere quello che ritengo consono alle mie condizioni e saluto la compagnia: sono perfettamente cosciente del fatto che da questo momento in poi il mastino Fusi non avrà pace fino a quando non mi avrà ripreso; so anche che allora mi staccherà senza pietà: dadus tractus est .... ma invece del Rubicone, c’é di nuovo l’Orcia da guadare.

Arrivo a Castiglion d’Orcia, metà gara, in ottime condizioni: un po’ di mal di piedi, ma buone gambe, fiato e voglia di scherzare con le solite samaritane, che mi nutrono e dissetano amorevolmente con pasta e Coca Cola. Riparto e, con passo inesorabilmente costante, continuo a recuperare posizioni su posizioni; correndo affiancato a Tan, ragazzo di origini orientali del New Jersey, nel ghiaione che porta verso l’ennesimo guado di giornata, mi risuona in testa la colonna sonora di Momenti di Gloria: probabilmente comincia a scarseggiare l’ossigenazione al cervello!

Nella salita verso Pienza le gambe sono buone (riesco addirittura a mangiarmi uno dei panini alla mortadella che mi sono portato), ma il dolore ai piedi si fa sempre più forte; comunque, a differenza di altri (vero Lorenzo?), mi faccio il giro dentro al paese e poco dopo il ristoro mio babbo mi comunica che al cinquantesimo avevo quasi un’ora su Lorenzo e Simone. Sempre più dolorante, ma ancora in rimonta, arrivo ai piedi della salita che porta a San Quirico, giusto in tempo per una spruzzata d’acqua che rende il fondo argilloso assai pesante e ne fa un calvario.

Al ristoro del settantacinquesimo km mi sento vuoto, mi fermo per un buon quarto d’ora e, quando riparto, devo anche tornare indietro dopo pochi metri perchè ho dimenticato di rifornirmi d’acqua: adesso, invece di Momenti di Gloria, in testa mi risuona il Requiem! Incontrare quelli che sono già al novantesimo Km e si avviano verso la fine non aiuta; il colpo di grazia lo dà un copioso acquazzone lungo i km di asfalto che da San Quirico portano all’imbocco del lungo tratto sulle crete.

Mentre scendo dolorante verso il ponte sulla Tuoma, mi viene in mente Simone che anche questa volta mi riprenderà, probabilmente al ristoro del novantesimo, penso, quand’ecco, appena imboccata la salita, con tono di voce ben conosciuto, dal timbro beffardamente stridulo, sento intonare alle mie spalle  “saran belli gli occhi tuoi ... ma le gambe ma le gambe.......”;  ma cosa ha fatto quel figlio di buona donna per esser già qui, il diecimila olimpico?!?!?! Avessi avuto una pala, avrei speso le ultime energie residue per scavarmi la fossa e sparire!!!! 

Comunque la creta fradicia rende la salita infattibile e così procediamo, camminando, per un lungo tratto insieme; gli confido tutte le mie pene e lui da vero amico, anche se come dice il Bianchi bastardo, mi offre pure un antidolorifico. Ma ecco che la salita diventa più dolce, il fondo un po’ meno cretoso ed il Fusi, come da copione, parte a corsa; lo saluto, gli auguro in bocca al lupo e lo vedo allontanarsi 10, 30, 50 metri; é allora che le parole del burbero montanaro (sto sempre all’erta che non sbuchi da qualche cespuglio) mi risuonano in testa e fanno da insperato propulsore: il dolore ai piedi é ormai lancinante, ma le gambe girano eccome; raggiungo nuovamente Simone, che pare abbastanza sorpreso; gli confesso candidamente che questa volta, finchè non muoio davvero, rimango attaccato. Altrettanto apertamente mi rivela che se tengo il suo passo é ben contento di farla insieme, ma bisogna fare in modo di riprendere Gaspare Belotti, perchè degli altri non gli importa niente, ma gli amici vanno sempre bastonati, quando é possibile ..... il bastardo!

Quindi, pervasi da ciò che definirei fraterno agonismo, ci lanciamo per le crete di Torrenieri: cominciare a correre é per me ogni volta un incubo, ma preso il passo il dolore si attenua un po’ e, tutto sommato, non faccio fatica a stare affiancato a Simone. Al ristoro prima di imboccare l’ultimo tratto di crete verso Triboli, lo sciacallo si informa della posizione di Gaspare e Brando gli dice che non é molto avanti, con le sembianze di un morto che cammina: immaginate di avergli fatto una trasfusione di eritropoietina e fulmicotone; quelle gambette corte e cicciotte si sono messe a rullare come le mazze di un tamburo che suona a vittoria .... e io dietro.

Ancora una volta é l’infida creta a stemperare i bollenti ardori: la discesa verso la Cassia é impraticabile e non possiamo fare altro che camminarla, lentamente e con estrema cautela; lì raggiungiamo e staremo insieme a lei fino a notte fonda quello che non ho remore a definire il più grande personaggio da me conosciuto in ambito podistico: Natalina Masiero, padovana ultrasessantenne alla sua centotreesima 100Km. Anche Simone ne rimane evidentemente affascinato, e quando si appartano insieme per espletare i loro bisogni mi sento in apprensione: la fatica prolungata, la fame, l’innata bestialità del soggetto non sono aspetti da trascurare, ma fortunatamente tutto va per il meglio e ci troviamo nuovamente appaiati, nella salita verso San Quirico, a cantare a squarciagola la Marcia del Palio; di ossigeno al cervello ormai non se ne trova la benchè minima traccia.

Dopo gli ultimi panini con la mortadella, uno ciascuno, l’ultimo rigurgito di competizione all’ingresso del paese dove, ancora in salita, l’incorreggibile agonista parte a sorpresa e fende il lastricato come fossimo nel Casato all’arrivo del Vivicittà .... e io dietro.

All’ultimo ristoro ecco Gaspare: é morto e non cammina; steso su una panca, bianco slavato e con i giudici intorno a mo’ di prefiche. Non abbiamo il coraggio di rivolgere lui parola, e ci avviamo piuttosto mesti verso la fine.  Ormai, camminando di passo blando avvolti da una fitta oscurità, nella ripida discesa verso Bagno Vignoni ci raggiunge un lumino ed il novello Lazzaro attacca favella, per un momento mi chiedo se anche noi non siamo morti senza rendercene conto e ci troviamo a vagare nell’ottava bolgia dantesca; ma poichè fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza, ci siam resi conto che Gaspare era risorto e ci aveva raggiunto.

La fatica per l’erta finale é ampiamente mitigata dalla consapevolezza di avercela ormai fatta e l’arrivo insieme a braccia alzate alle 22:40, con tanto di commossa lacrimuccia, e’ stato degna conclusione dell’impresa, suggellata dall’arrivo in solitaria dell’inesauribile Bianchino (i suoi discepoli possono andarne ben fieri).

L’unico rammarico sono le tremende piaghe che mi sono ritrovato sotto i piedi, non tanto per il dolore in sè, ma perchè mi hanno impedito di andare a Asciano il lunedì sera a fare il pettone con la maglietta della 100Km, insieme agli altri eroi per un giorno …. quei vanagloriosi!