CIMA TAUFFI TRAIL  20 luglio 2013

Scritto da   MICHELE ROSATI

 

 

 

L’ELOGIO DELLA FOLLIA

 

Fanano lí, Sabato 22 Luglio, ore 21:57 e 54s:

uscito dalla doccia, larva solitaria nella desolante vastitá dello spogliatoio del palaghiaccio, me ne sto accosto ad un termosifone acceso, avviluppato nel fedele accapatoio rosso che, accogliente placenta, sussulta sincrono  con gli spasmodici brividi di cui, spossato, sono pervaso; improvviso, da una finestra aperta, il pandemico urlo di giubilo di un paese intero rompe lo spettrale silenzio, seguito da “We Are The Champions” dei Queen sparata a tutto volume dagli altoparlanti: Luciano Magi, ultimo concorrente rimasto in gara dopo il sottoscritto, ha tagliato il traguardo del Cima Tauffi Trail, ben due minuti e sei secondi prima dello scadere del tempo massimo!

Ed eccolo di lí a poco entrare nello spogliatoio, accompagnato da uno sbigottito Simone Fusi che, malgrado una prestazione ben piú lusinghiera, si trova ad essere semplice testimone dell’impresa, alla stregua dei prodi cronisti militari resi celebri dalla guerra del Vietnam. Se era rimasto sorpreso dalla calorosa accoglienza riservata al mio arrivo in solitaria da penultimo una mezz’oretta prima, adesso é semplicemente esterrefatto dall’apoteosi ricevuta da Luciano, che ci ha ovviamente messo del suo nell’entusiasmare la folla, in qualche modo giá edotta delle nostre biografie dal loquace, per non dire pettegolo, Fusi il quale, aspettandoci giá da diverse ore, aveva raccontato alle ciarliere comari fananesi, destreggiandosi in modenese stretto, vita morte e miracoli dei suoi compagni di spedizione. Raccontano infatti le cronache paesane che, quando il pathos aveva raggiunto ormai il culmine, mancando solo una manciata di secondi allo scadere del tempo massimo, e le masse in trepidante attesa si aspettavano di veder giungere da un momento all’altro un malconcio vegliardo, ecco spuntare in fondo alla strada, correndo a piú non posso e distaccando finalmente i ragazzi della scopa, questo bizzarro folletto urlante che prima si getta a terra e poi, dimenandosi come un tarantolato,  comincia a baciare ed abbracciare tuttE!

Lo guardo percorrere i pochi metri dalla porta alla panca dello spogliatoio e mi sembra la caricatura del trio Aldo Giovanni e Giacomo che fanno il cammello: andatura caracollante con movimento spastico-ondulatorio dell’arto inferiore sinistro .... un soggetto sicuramente da scartare alle previsite, non fosse per quei mefistofelici occhi sprizzanti all’intorno gioiosa follia, quella follia la cui celebrazione mi ha spinto, non me ne vogliano le Muse, a plagiare il grande Erasmo da Rotterdam. Ma come tutte le entitá, ammesso che esistano nell’assoluto e che l’assoluto stesso esista, una volta trascese negli uomini, ancorché eroici, bisognano di un qualche riconoscimento, mediocremente umano, per trovarvi giustificazione e nuovo afflato ....  una frase alla Marzullo per spiegare il perché di questo articolo: da una parte c’é il narratore che, complici i lusinghieri commenti ai suoi scritti ricevuti da piú parti ancor pochi giorni or sono in quel di Montepulciano, Chianciano e Vivo d’Orcia, si é montato la testa e se la tira; dall’altra le petulanti richieste del Magi stesso, il quale non ha mai mancato occasione per ricordarmi, deluso, che non avevo ancora scritto niente sul Cima Tauffi Trail, come se ció minasse il suo (... nostro) stato di compiaciuta pazzia e ne favorisse un’aborrita guarigione.

Quindi, che Domine Iddio mi scampi dal commettere tale delitto, eccomi qui a cominciare la cronaca  partendo dalla fine di un’altra giornata a suo modo epica, ossia da quel movimento spastico-ondulatorio della gamba: sappiate infatti che ció non era dovuto a particolari patologie muscolo-tendinee bensí, é Luciano stesso a spiegarcelo con disarmante luciditá, l’arto semplicemente si rifiutava di obbedire ai comandi impartitigli dal balzano cervello che, al contrario, gli intimava di andare avanti diritto a qualsiasi costo, mentre questo, forse attingendo ordini da un cicuito protetto, una sorta di “safety mode” encefalico, si ostinava a porre il piede di traverso, come a voler arrestare  l’insano procedere contro le leggi di natura. E se tali ragionamenti ci mettevano in allarme a gara conclusa, con il Fusi che suggeriva a Luciano una serie infinita di specialisti medici da consultare (salvo l’alienista mentale, forse l’unico veramente necessario), non oso immaginare quello che debbano aver passato i ragazzi della scopa, santi martiri votati all’osservanza integralista della regola decoubertiniana. Pensate infatti a coloro che, giá da diverse ore, su e giú per dirupati sentieri, accompagnano il soggetto in questione, il quale non avrá sicuramente mancato di ricordare loro come si fosse tolto il gesso al dito da dieci giorni, reduce da una caduta al trail del Malandrino, e che  la sua presente accortezza era non tanto usare maggiore prudenza in discesa per evitarne di nuove, ma di appoggiare piuttosto tutto l’avambraccio nell’impatto al suolo, praticamente lasciandosi andar giú quasi a corpo morto ....ecco cosí spiegate le escoriazioni fresche e il raccapricciante tonfo sordo che un concorrente giura di aver sentito venendo giú dal Cimone! Giá alleggeritolo dello zaino, ed offertogli piú volte , sempre orgogliosamente rifiutato, un aiutino nei pezzi praticabili con il quad, a pochi chilometri dal traguardo, con le tenebre che prendono il sopravvento sui residui barlumi del crepuscolo e materializzano lo spettro del tempo massimo, ecco la scena clou al comparire del succitato movimento spastico-ondulatorio. Non so se nelle vicinanze vi fosse anche un cimitero od una chiesa sconsacrata sede di messe sataniche, ma penso che quei poveri ragazzi non abbiano avuto bisogno di tali ulteriori tocchi di goticitá alla Mary Shelley per rabbrividire terrorozzati, nel momento in cui il nostro eroe si sdraia a terra e, improvvisando alcuni esercizi neurofisiologici, confessa loro candidamente che, anche in considerazione di un passato episodio di amnesia, vuole accertarsi di non essere vittima di una trombosi o simile ..... “lí ho avuto effettivamente paura!”, dirá dopo negli spogliatoi: figuratevi chi gli era intorno, penso io! Buon per lui che, nonostante l’asprezza dei percorsi, l’accogliente mentalitá emiliana é ben diversa da quella dei vecchi pionieri del Far West, altrimenti il colpo di grazia alla testa, stile “É l’ora di metter fine alle tue sofferenze, Gringo!”, non glielo avrebbe risparmiato nessuno! Comunque, come giá sapete, i suoi tormenti sono stati ben ripagati dall’apoteosi finale, anche se rimango dubbioso per quanto concerne quelli patiti dalla scopa che lo ha accompagnato.

Veniamo quindi alla celebrazione di una follia piú umana e, se mi consentite, un po’ meno diabolica. Sta di fatto che, come forse ricorderete, ci eravamo lasciati tutti e tre abbastanza scontenti al trail del Malandrino, perché, per un motivo o per l’altro, a nessuno di noi era stato possibile fare l’ultima parte di crinale del Libro Aperto, e giá ci interrogavamo se sarebbe stato il caso o meno ritentare l’anno venturo. Ed ecco la Divina Provvidenza materializzarsi sotto froma di Cima Tauffi Trail, il cui percorso, con la non trascurabile aggiunta del Cimone, si snoda proprio su quel fatidico tratto, anche se in senso inverso: piatto ricco mi ci ficco!

Da qui in poi la storia é piú o meno la stessa e, forse, per voi affezionati lettori un po’ monotona, con l’alienista mentale che non lesinerebbe comunque un referto neppure a chi si trova in ferie a Castiglioni della Pescaia, mette la sveglia alle 1:50 di sabato mattina e si cuoce gli immancabili 250 grammi di pasta; se questa volta la cucina dell’appartamento, in una sorta di seminterrato, mi risparmia dagli sguardi allibiti dei vicini, nulla mi puó salvare una mezz’oretta piú tardi all’uscita sul lungomare ancora popolato di chiassosi villeggianti e ragazzotti alticci in mise da discoteca ..... citando l’amato Fantozzi: “Abbigliamento dell’ingegner Rosati: maglia a mezze maniche rossa pseudo tecnica con oscena semitrasparenza su cerottoni anti scorticamento capezzoli tipo pezzola della nutrice primi novecento; ibrido ciclista-fuseaux nero con imbarazzanti trasudazioni di vaselina e pasta di Fissan, modello ballerino invalido civile che si esibisce alla Corrida ne “Il Lago Dei Cigni”; scarpe fangose sfondate, da cui fanno capolino entrambi gli alluci valghi ammantati di improbabili calzettoni verdi-viola, punto di orgoglio dei piú sfigati campesinos boliviani;  zainetto fotonico con riserva idrica e bastoni legati, stile Rambo de noialtri alla scoperta dell’alto corso dello Staggia.” Rispondendo agli immancabili sfottó con il classico movimento convergente degli arti superiori verso la zona pelvica, sembra che i piú imbenzinati mi abbiano preso per un nord europeo di avanguardia, e cosí alcune ore piú tardi sono stati visti, similmente agghindati, intenti a mostrare il marsupio sul cubo della discoteca Chiticaca d’Orbetello.

Alle 03:30 raccolgo Luciano e Simone sotto casa di quest’ultimo, e partiamo alla volta di Fanano, appennino emiliano dove, un paio d’ore dopo, giungiamo in perfetto orario, ma senza esserci risparmiati numerosi alterchi tra il mio navigatore satellitare e l’omnisciente Magi che, novello Mosé, si prende carico di guidare il suo popolo verso la Terra Promessa. Provveduto all’ispezione del materiale obbligatorio e ritirati i pettorali, alle sette in punto partiamo per la nuova avventura dalla piazza centrale dell’animato borgo.

Il tempo é magnifico, uno splendido sole ci accompagna nella prima salitella di giornata: undici chilometri tra sentieri di bosco, pascoli e piste da sci, per andare dai 600 metri di Fanano ai 2165 della vetta del Cimone. Mi sento veramente bene e, apparentemente senza fatica, continuo a sorpassare molti concorrenti, tutte facce  .... e lati B ormai noti: sfilo anche la ormai celebre bicilindrica Ducati di malandriniana memoria. Alle spalle si sono spente pure le eco dei richiami canzonatori del Fusi; giunto all’osservatorio sulla vetta, cosa abbastanza insolita per il sottoscritto, mi lancio senza paura, alla Magi oserei dire, nella discesa verso il Cimoncino, nuovo strappetto, e poi di nuovo nella tecnica discesa che porta al successivo breve, ma duro, strappo del Libro Aperto. Dopo un piccolo tratto spettacolare di crinale sui 1900 metri e circa tre ore di corsa, comincia la prima lunghissima discesa che porta ai 1200 metri del rifugio Taburri, primo cancello orario della gara. Giá dalle prime battute sento dei preoccupanti segnali di debolezza alle gambe che si trasformano dopo poco in vero grippaggio. Questa ancora mi mancava: crisi tremenda in discesa con tanto di spossatezza; vado avanti, assai lentamente, solo per la forza di gravitá, nuovamente sfilato dalle decine di concorrenti che avevo sorpassato in salita, compresa la bionda Ducati, che adesso si é trasformata in agile leprottina. Mi convinco che, con ancora piú di quaranta chilometri da fare, non ci sono alternative al ritiro e lo confesso amaramente a Simone, l’affidabile Benellino, che mi raggiunge ormai in prossimitá del rifugio dove, nonostante tutto, arrivo pochi minuti dopo le undici, con quasi un ora di vantaggio sul tempo massimo.

Il Fusi, da vero amico, tenta di spronarmi a continuare insieme, perdendo pure del tempo (se prezioso o no, dovete chiederlo a lui), ma proprio non ce la faccio e mi accascio all’ombra del tavolo, contornato da altri cinque o sei partecipanti che, come me, hanno deciso di ritirarsi. Fortuna ha voluto che, a portata di mano, avessi una bottiglia di Coca Cola gelata: bicchiere dopo bicchiere, me la sono tracannata e, quando mancavano solo 15 minuti alla chiusura del cancello, ormai sicuramente positivo alla caffeina, ho deciso di continuare per godermi un altro po’ di panorami, riuscendo magari a finire il percorso corto di 33 chilometri.

Dopo un effettiva sofferenza nei primi venti minuti, con tanto di detonanti sciabordii interni (dentro lo stomaco mi sembrava di averci Balotelli che tirava i rigori), ho trovato il mio passo, ovviamente mai di corsa, nella salita che ci ha portato nuovamente ai 1700 metri del monte Lancino, dove ad attenderci c’era un altro meraviglioso tratto di crinale da cui si poteva ormai scorgere nitidamente tutto il percorso da fare fino alla Croce Arcana, proprio dove il mese prima ero stato fermato. Ormai in prossimitá della cima Tauffi, che vedo giá gremita da baldanzosi trailers, il percorso mi fa una brutta sorpresa, subito verificata con il road book: dobbiamo nuovamente scendere a poco piú di mille metri, per poi riscalare novamente il fianco della montagna fino ai suoi 1800 metri. Cammino quasi sempre anche in discesa, ma non ho particolari dolori, salvo alle unghie degli alluci che, alla fine, saranno completamente nere. Mi rifornisco di acqua ad una fonte e, quando giungo al bivio dove il trail “corto” ripiega per Fanano, decido che a questo punto devo arrivare anche alla cima Tauffi e, se ce la faccio, continuare fino alla Croce Arcana, dove al secondo cancello orario verró quasi sicuramente fermato, ma avró perlomeno completato questo benedetto crinale.

La salita é forse la meno dura della giornata, e questo mi dá modo di godere ancor piú dei magnifici panorami; memore dell’esperienza passata guardo al cielo sempre con circospezione, ma sono giá le quattordici (per la cronaca Matteo Pigoni, il primo classificato, é giá arrivato) e non si scorgono nuvole. In compenso la lunga discesa fino a capanno Tassoni, prima sul crinale e poi dentro al bosco, é veramente terribile e le unghie dei miei alluci ricevono il colpo di grazia. Sosta al ristoro e nuova salita verso il passo di Croce Arcana, dove giungo inaspettatamente ancora con un’ora di vantaggio sul tempo limite. Tiro un sospiro di sollievo verificando che questa volta non ci sono scafisiti a stipare profughi del trail sui furgoni e realizzo che ormai posso agevolmente arrivare al traguardo entro il tempo massimo: se la mattina ero partito per fare un trail,  trasformatosi poi in, per dirla all’Amaddii, lungo pellegrinaggio adesso sono proprio in gita di piacere!

Cosí mi rifaccio, in senso inverso, lo stesso percorso fatto a Giugno e giunto in cima allo Spigolino, in veritá assai provato, mi godo la vista contemporanea dei due mari: da una parte il Tirreno e dall’altra l’Adriatico (ragazzi é vero, non é né l’abuso di coca cola e neppure l’ipossigenazione cerebrale!). In lontanaza scorgo alcuni trailer piú ritardatari del sottoscritto che stanno ripartendo dalla Croce Arcana; decido quindi di godermela fino in fondo e, chiesto a due agenti della forestale presenti sul percorso di svegliarmi dopo una decina di minuti, mi faccio pure un pisolino cullato da una piacevole brezzolina. 

Ripartito, mi dirigo verso quell’incanto che é il lago Scaffaiolo e, fattone il periplo quasi completo, me la prendo nuovamente comoda al ristoro del rifugio Duca degli Abruzzi, penultimo della gara. Si lascia definitivamente il crinale e nella lunga discesa intervallata da pianeggianti pascoli e brevi strappetti vengo via via superato da cinque concorrenti, ma della scopa non v’é traccia ed intuisco che ci deve essere ancora qualcuno dietro ..... sta a vedere che il Magi .....

Giunto sulle sponde del lago Pratignano intorno alle diciannove (per la cronaca, il Fusi sta giungendo al traguardo), come il canto delle sirene di Ulisse, uno stuzzicante profumo di appetitosa carne alla brace mi guida fino all’ultimo ristoro, dove la superlativa organizzazione mi rifocilla con pane, salsicciotti ed un paio di gotti di prosecco fresco: il bianco con la carne non ci sta? Andatelo a dire a chi va su e giú per l’Appennino da dodici ore!

Nell’ultima discesa verso Fanano le nubi si addensano e dei tuoni si odono minacciosi, ma non cade una goccia d’acqua ed anzi, con le luci del tramonto, gli sprazzi di luce che squarciano i nembi e la frondosa ombra, come in un dipinto del Giorgione,  amplificano la bellezza dell’ultima chicca di questo stupendo percorso: un villaggio completamente abbandonato immerso in un castagneto plurisecolare, con alcuni tronchi che venti persone non riuscirebbero ad abbracciare.

Come é finita all’arrivo, lo sapete giá.