ELBA  TRAIL  12 APRILE 2015

Scritto da   MICHELE ROSATI

 

 

GAMBA MIA FATTI CAPANNE

 

Affezionati lettori, era ormai da tempo che non aprivo Word (… una volta si sarebbe detto prendevo penna carta e calamaio) per narrare, sempre e comunque a modo mio, una nuova esperienza di trail. Sappiate che il motivo di questa attesa, che per voi immagino esser stata snervante, non sta nel fatto che abbia ridotto le mie partecipazioni alle “ultraminchiate” (come un mio compagno di avventura in una notte di trail ebbe modo di definire, a mio parere in maniera azzecatissima, questi farneticanti pellegrinaggi); anzi nei primi mesi del 2015 ne ho fatte a iosa, praticamente ogni domenica e devo dire anche con prestazioni onorevoli, se rapportate alla innata tapascionaggine del soggetto. Fatto sta che erano scorsi via sin troppo lisci e, nonostante alcuni passaggi in luoghi magnifici, a volte con il fango fino alle ginocchia o addirittura sommersi dalla neve, non avevano fatto scattare in me la vis narrativa. Non so se per una forma perversa di compiaciuto masochismo oppure per il semplice fatto di aver avuto molto piú tempo per guardarmi intorno e pensare, la suddetta vis narrativa mi é stata fatta tornare dall’Elba Trail, tanto penoso se guardiamo alla prestazione (... ma noi non ci guardiamo) quanto meraviglioso per le emozioni, anche sofferte, che é stato capace di trasmettermi.

Un capitolo a parte se lo meriterebbe anche la giornata di sabato trascorsa sull’isola in compagnia del mio compagno di avventura, quell’attempato giovinotto che risponde al nome di Luciano Magi: giá dopo qualche ora venivamo scansati come lebbrosi, dopo che aveva chiesto con il suo tipico tono pudicamente sommesso a tutti, ed intendo dire tutti, i partecipanti e loro familiari un passaggio per il ritorno di lunedí, visto che il primo traghetto del mattino, da me prenotato per esigenze lavorative, non si confaceva all’agio di Lord Trail.

Veniamo quindi alla domenica mattina, quando prima delle cinque, a Marciana Marina, ci sveglia il canto del pinguino nell’appartamento privo di riscaldamento. Nonostante una cucina a disposizione, la pigrizia mi impedisce di scaldare i 7 etti di lasagne comprati la sera prima: e giá qui il primo segnale di una forma fisica non perfetta, visto che me ne avanza almeno un quarto, con il grasso del sugo rappreso che quasi mi dá un senso di nausea. Dopo la rituale vestizione, con unzione di piedi e pudenda, me ne esco a prendere un buon caffé ristoratore, che mi tolga dalla bocca quel retrogusto sugnoso. Quando si parte alle 6 é ancora buio pesto e decido di indossare la frontale gentilmente prestatami da Luciano, che si presenta alla partenza all’ultimo minuto (sará piú o meno cosí anche all’arrivo) con lo zainetto intriso dell’acqua fuoriuscita dal sacchetto con le mozzarelle che si é portato dietro ..... a questo punto, per la perfetta dieta del trailer, mancano solo 2 costoline di maiale da fare alla brace lungo il percorso!

Siamo poco piú di duecento persone ed i primi 2 Km sono stati opportunamente tracciati tra lungomare e  vie del paese, in modo da far sgranare il gruppo prima dell’ingresso nel sentiero in single track. Nonostante l’inizio sia tutto in salita, dentro il bosco di lecci é buio fitto e solo un 30% dei concorrenti é munito di frontale: il risultato sono diversi inciampi e cadute, anche se assolutamente non rovinose .... e cosí comincia la rituale litania dei trailer benefattori che, ad ogni ramo radice o sasso piú sporgente sul sentiero, con misericordiosa enfasi ne annunciano la presenza a coloro che seguono: per far capire a chi non é del mestiere, é come se mentre sciate quello davanti a voi vi dicesse continuamente “Attenzione, neve!”.  Fortunatamente ci pensa la salita a zittire il vano altruismo e, dopo meno di un Km, si sentono solo rantolii e sbuffi. Come al solito sulla prima erta di giornata mi sento pimpante e non faccio troppa fatica; dopo una preoccupante ringozzata di pasta al forno all’inizio, con lo strano retrogusto di miscela arabica alla bolognese, binomio che ogni gourmet sconsiglierebbe, sembra che anche la digestione abbia preso il suo corso. Cosí valico fiducioso i 600m al di sotto del Monte Perone, da cui plano gioiosamente verso il versante di Campo su una larga discesa facile in pineta all’inizio e, successivamente, piú tecnica in single track che ci porta a Torre San Giovanni, una bislacca costruzione eretta su di un masso che mi fa pensare alle architetture yemenite e nei cui pressi é approntato il primo ristoro, all’undicesimo Km circa. Si tende ancora a scendere in una profumata landa di arbusti mediterranei in piena fioritura, con il sole che ormai é abbastanza alto per imprimere alla distesa marina sottostante riflessi cangianti: sono decisamente contento, direi euforico, solo per il fatto di esser lí a godermi questo spettacolo ... e le successive “disavventure” non mi faranno minimamente cambiare idea.

Ancora circa 300m sopra il livello del mare invertiamo la rotta e cominciamo a risalire per un sentiero che si snoda a perdita d’occhio su questo crinale da Costa Smeralda, tra massi che la natura ha plasmato con fogge che gli umani artisti non potranno mai eguagliare. Le gambe e le braccia sono continuamente solleticate, spesso pizzicate, da una miriade di arbusti fioriti i cui effluvi, man mano che il sole asciuga la rugiada, diventano sempre piú intensi e pungenti per il naso. Per quanto impegnativa, la salita scorre bellamente e giungiamo nuovamente ai 750m del Monte Perone, sul crinale che seca questa parte di isola: sullo sfondo spunta il Monte Capanne, la nostra prossima meta,  che non sembra né troppo lontano né troppo alto rispetto a noi. In realtá per raggiungere la sua base impieghiamo un bel po’ di tempo, lungo un sentiero che sebbene leggermente sottocosta verso il lato di Marciana, definirei di crinale e tecnicamente spettacolare, nel senso che spesso é sbarrato da grosse formazioni rocciose che vanno aggirate oppure oltrepassate attraverso scalini opportunamente scolpiti nel corso dei secoli, quando questa era evidentemente una via di comunicazione di una certa importanza ...... cosí, dopo un tuffo nello Yemen, i miei ricordi vanno anche ai sentieri inca del Perú. Nonostante la prima parte del suddetto sentiero tenda a scendere, avverto nelle gambe una ritrosia al correre che ben conosco. Vista l’ormai consolidata esperienza in materia, capisco immediatamente che é giornata di cotta; decido quindi di rallentare adottando lo stile velocista al tappone dolomitico: limare sul tempo massimo, possibilmente godendomi lo straordinario percorso. Attraversata una lunga pietraia sui cui sassi smossi sono necessarie buone doti di equilibrismo, il sentiero ricomincia a salire piuttosto decisamente attraverso una serie di tornanti all’interno del bosco; quando su uno di questi mi soffermo per far sfilare alcuni concorrenti che mi hanno raggiunto, alzo gli occhi al cielo e tra le fronde degli alberi mi appare, novello Dante, il monte del Purgatorio! Eccola la vetta del Capanne, 300m in verticale sopra la mia testa, imponente agglomerato monolitico su cui si stanno arrampicando alla bell’é meglio decine di trailers. Per un attimo ritrovo tutte le energie e parto pimpante verso la scalata, come un cittino che ha appena visto il suo balocco! Al briefing della sera prima era stata descritta come una salita attrezzata con corde fisse di cui si sarebbe comunque potuto fare a meno: sinceramente non ho visto nessuno che non vi si sia attaccatto per superare, ciononostante con difficoltá, queste poche, ma interminabili, centinaia di metri su parete rocciosa con pendenza assai pronunciata. L’alternativa sarebbe stata tirare fuori gli artigli e tentar di attaccarsi sulla roccia con mani e piedi; oltretutto gli unici balconcini pianeggianti su cui poter fare facilmente presa erano occupati da dei simpatici arbusti a prima vista erbosi, in realtá ciuffi di acuminati aculei come se dei porcospini avessero dimenticato lí i loro abiti: “le maniglie dei bischeri”, come le ho ribattezzate da buon botanico sperimentale, poggiatavi la mano e ritiratala assai velocemente con tanto di santificazione divina.

Come sempre accade, quando le fantasie si vanno a scontrare con la realtá, quest’ultima vince e tanto piú tragicamente quanto piú erano entusiastiche le prime: cosí iniziata la scalata a spron battuto, come se le maniglie dei bischeri mi pungolassero anche le terga, ho cominciato a spengermi assai velocemente, con l’angosciante sensazione, ogni volta che alzavo gli occhi al cielo,  di veder la vetta allontanarsi piuttosto del contrario. Prima una pausa per rifiatare di 5 secondi, poi un’altra di 10 ed un’altra ancora sempre piú ravvicinata di 20 fin quando, raggiunto il culmine completamente esausto, mi sono messo a sedere su un piccolo cippo (un pilastro geodetico immagino) godendo, mentre tentavo di raccogliere le poche energie rimaste, dello splendido panorama e, perché no, anche della piccola impresa, emulo di Hillary e senza l’aiuto di Tenzing.

Pur essendo un discreto dislivello, l’altezza assoluta rispetto al livello del mare é di poco superiore ai 1000m e questo fa sí che ci sia ancora abbastanza ossigeno trasportabile dai vasi sanguigni al cervello che, per quanto balzano, comprende immediatamente come, giá in queste condizioni neppur a metá gara, sia il caso di prendere un’andatura ancor piú che turistica. In tal modo, i diversi Km di pietraia in discesa, piú adatti ai camosci che non ai temerari bipedi, non mi sembrano poi cosí terribili: infatti me li cammino tutti ed anche abbastanza lentamente; nonostante ció vengo sí sorpassato da diverse persone, ma che vedo in grande difficoltá a saltellare di sasso in sasso e che impiegano comunque diverso tempo a distanziarmi. La musica cambia quando la parte piú aspra della discesa termina ed entriamo in un bel castagneto ombroso, accompagnati dal sottofondo musicale dell’acqua scrosciante nei numerosissimi ruscelletti di cui é costellato. Il sentiero continua ad essere abbastanza tecnico, ma qui correre farebbe, il condizionale é d’obbligo, decisamente la differenza. Non bastassero quelli partiti insieme a me e che mi stanno riprendendo, a farmi sentire decisamente un paracarro ci pensano i primi concorrenti del trail corto, partiti piú tardi e con i quali abbiamo quel tratto di percorso in comune: fino al secondo ristoro di Marciana Alta, dove le nostre strade si dividono nuovamente, mi sento come un ometto col cappello che guida l’apino Piaggio 50cc in tangenziale.

Attraversati in salita i caratteristici vicoli di Marciana, all’uscita del paese é allestito il secondo ristoro, 25Km circa, dove cerco di mangiare il piú possibile, ma senza appetito: e anche questo non é buon segno. Dopo alcuni Km di pineta in falsopiano su ampio stradone, tutti camminati, imbocchiamo a destra un sentiero che comincia a salire piú deciso. Presi i bastoncini pieghevoli dallo zaino, ci fosse stato bisogno di un ulteriore segno dell’infausto destino, compio poche centinaia metri appena che me ne rimane incastrato uno tra i sassi; avendo ben piú forza nelle braccia che nelle gambe lo tiro via deciso: lui viene, peró la punta rimane lí, l’anima di corda si spezza ed io me ne resto inebetito con un pezzetto di bastone in mano a guardare gli altri tre rotolare giú tra i sassi. In lontananza si sentono le campane di una chiesa che chiamano a raccolta i fedeli e cosí anch’io, recuperando i poveri resti di quello che avrebbe dovuto essere il mio sostegno, mi produco in una personalissima orazione. Da questo momento in poi sperimenteró la tecnica monobastone, usando il superstite alternativamente con una mano o con l’altra oppure, nei punti piú ripidi, con entrambe, bislacco gondoliere tra i pietrosi rii.

In qualche modo raggiungo il displuvio dove, erroneamente, avevo creduto di valicare. In realtá svoltiamo a sinistra percorrendo il bel crinale che riporta verso il monte Capanne dal lato opposto a quello affrontato qualche ora prima e giungiamo nuovamente oltre i 900m, prima di lasciarlo definitivamente ed incominciare un’interminabile discesa dall’altra parte, verso Pomonte: in pratica ci siamo fatti tutti e quattro i versanti del Capanne! Il fondo, come preannunciato nel briefing, é ancora molto tecnico, tra sassi smossi e profondi solchi scavati dall’acqua, ma decido comunque di correrlo, anche perché probabilmente una delle ultime occasioni: vinta la riottositá delle mie gambe dopo alcune centinaia di metri, prendo un passo non troppo veloce ma capace di garantire una discreta dose di divertimento; tra zompi ed appoggi improvvisati, inebriato dagli odori ormai fortissimi della brughiera mediterranea, oltrepasso un pezzo di carlinga posto su un masso a ricordo del quadrimotore dell’ITAVIA qui precipitato nel 1960 lungo la rotta Roma -Genova..... immerso in questo aspro contesto roccioso, la mente mi porta alla ben piú attuale tragedia Germanwings e, quasi senza rendermene conto, sento distintamente la mia voce sibilare, piú che urlare, con una stizzita acrimonia di cui non  mi sarei creduto capace, un “Brutto testa di cazzo”, rivolto al pilota assassino. Fortunatamente nelle immediate vicinanze non ci sono trailer che possano crederlo a loro indirizzato, altrimenti mi sarei dovuto probabilmente giocare anche il secondo bastone come arma del duello.

Giungo al ristoro di Pomonte, 38Km circa, dopo aver camminato ormai esausto l’ultimo dei 9Km di discesa; bevo e  mi rifornisco di acqua, visto che lungo gli ultimi 17Km, fino all’arrivo, non ci saranno altri ristori. La calura comincia ad essere opprimente e mi sento particolarmente debole, ma riesco a mandar giú solo alcuni pezzi di banana. Una volta ripartito, i primi 2Km fino a Chiessi sono facili, lungo un sentiero che corre parallelo alla litoranea, ma poi un’asfissiante salita sotto il sole cocente va a materializzare lo spettro di quello che giá sentivo ormai ineluttabile da diverse ore: la cotta megagalattica! In realtá la salita in sé scorre piuttosto bene: riesco persino a fare il passo ad altri due e a ricucire su un gruppetto che all’inizio nemmeno era in vista ma, a differenza del solito, alzo la testa solo per vedere a che distanza si trova il tornante successivo e non mi importa piú niente della vista di Pianosa nella distesa marina che si allarga sempre piú via via che saliamo e neppure degli aromi mediterranei che pure devono esser assai intensi; mi rendo soltanto conto di una vampa di calore sempre piú insopportabile che mi prende capo e collo. Quando finalmente la salita diviene piú dolce e penetra nell’ombra e gli altri riprendono a camminare piú spediti, io al contrario non riesco a fare nemmeno un passo avanti e la luce si spenge, letteralmente intendo, poiché per alcuni istanti, pur rendendomi conto di stare in piedi e non essere svenuto, non ho piú alcuna percezione sensorea, neppure ottica. Mi “risveglio” appoggiato al tronco di un albero e provo ad andare avanti, tra colpi di tosse convulsa che sembrano portare a conati di vomito, ma faccio pochi metri e sono costretto a sedermi, per poi ripartire e cosí via: il responso del Garmin é 52 minuti per fare i 2Km successivi, tutto sommato facili. Non voglio ritirarmi e l’idea neppure mi sfiora, ma mi prende una certa inquietudine, poiché non vengo raggiunto da nessun altro nel frattempo ed ho persino il dubbio di aver sbagliato strada, pur continuando a trovare i segni della tracciatura. Finalmente scorgo tra gli alberi, molto vicino, una croce che presumo essere la cima, quindi un ultimo immane sforzo e giungo sulla radura dove, tra i resti delle strutture del vecchio Semaforo di Montegrosso, una coppia di escursionisti sta bivaccando: getto via lo zaino e mi stendo a terra senza dire una parola, confortato dal fatto che almeno troveranno le mie spoglie ed avró degna sepoltura!  La ragazza, buona Samaritana, si alza e mi offre metá dell’arancia che stava sbucciando per sé: ringrazio e ne succhio il nettare spicchio a spicchio avidamente, rimanendo disteso ad occhi chiusi.

Nel frattempo arriva un gruppetto di concorrenti che, vedendomi in tali pezze, mi chiedono se vada tutto bene: rispondo bonariamente, anche se con una vena di sarcasmo, che direi proprio di no, ma che comunque il battito sembra regolare e che per ora ricordo sia il mio nome sia dove mi trovo ... e soprattutto che ci saranno circa di 10-12Km all’arrivo. Informazione importante quest’ultima, visto che nel frattempo anche il Garmin, esaurite le batterie, ha deciso di abbandonarmi. Piú per evitare di dover dare spiegazioni a tutti coloro che sarebbero giunti, anche se ormai non sono rimasti in molti dietro, che per una reale volontá di continuare, mi alzo, saluto i misericordiosi soccorritori e riprendo, a passo tardo e lento, il pellegrinaggio. Facciamo un po’ di falsopiano in quota, a circa 700m di altitudine, lasciandosi Pianosa alle spalle, Capraia sulla sinistra e davanti, sullo sfondo, la costa tirrenica, dopodiché ci sono un paio di Km in discesa all’ombra, sulla vecchia strada militare con numerosi guadi incanalati. Qui sono raggiunto da tale Antonio che, vedendomi camminare in una discesa piuttosto facile, mi chiede se abbia dei problemi; immagino gli faccia piacere rifiatare un po’ cosí, camminado insieme, gli narro della mia debacle al che lui, aprendo un cartoccio di stagnola con della polvere bianca, mi dice di farla sciogliere in bocca; non sapendo di cosa si tratti, controbatto che in caso nello zaino ho anche una banconota da arrotolare per tirar su; coglie la battuta e mi dice che si tratta soltanto di una pasticca di Enervit frantumata: peccato!

Ci riforniamo insieme di acqua fresca ad una fonte lungo il sentiero e, soltanto lui, se ne riparte correndo. La discesa finisce e cominciamo un lungo periplo, a mezza costa, di questo estremo lembo occidentale dell’isola: rivedendo a tutte le rientranze del costone Capraia davanti a me, penso con un po’ di invidia a coloro che hanno saggiamente optato per il concomitante ma piú breve trail sull’isoletta gemella ma, come detto all’inizio, nonostante tutto non riesco a pentirmi della scelta fatta, anzi. Cosí, quando dopo l’ennesimo doppiaggio di un piccolo promontorio, realizzo che il paese sul mare 500m sotto di noi é Marciana Marina, mi ritorna inaspettata la forza nelle gambe e ricomincio a corricchiare. Supero il suggestivo santuario della Madonna del Monte, immerso in un ombroso castagneto, e mi butto abbastanza deciso nel lungo lastricato sconnesso in ripida discesa che conduce a Marciana alta: mentre faccio il conto alla rovescia delle stazioni della via Crucis, superando fortunatamente illeso quelle dove Nostro Signore cadde e ricadde la seconda volta, risupero diversi concorrenti che mi avevano via via ripreso tra cui il pusher, probabilmente orgoglioso di aver una partita di Enervit purissimo. Riattraversati in discesa i vicoli e le scalette di Marciana, non restano che gli ultimi Km di discesa anche con un tratto asfaltato che dopo tante pietre non é dispiaciuto, fidatevi, neppure ai trailers duri e puri; raggiunto il porticciolo da un sentiero lungo la scogliera, passerella finale sul lungomare con ancora tanta gente ad applaudire in questo pomeriggio assolato e tiepido.

Dopo essermi rifocillato un po’, decido di attendere Luciano all’arrivo sorseggiando una birra sulla panchina del lungomare: immagino sia stata dura anche per il quattordecalustrico vecchietto e non sono sicuro che ce la faccia entro le 13 ore di tempo massimo. Mancano ormai soltanto 6 minuti alle 18 quand’ecco spuntare in fondo al rettilineo una coppia, un cui componente é inconfondibile per sua caratteristica andatura saltellante, sorta di ambio da bipedi: non sará un arrivo trionfale come due anni prima al Tauffi, ma non mancano comunque applausi ed incitamenti. Appena varcato il traguardo si sdraia istrionicamente a terra a ricevere medaglia, complimenti e strette di mano; non affatto stupito delle azioni del Magi, faccio invece caso al suo taciturno compagno di avventura che, fermo da una parte, appare fresco e sollevato: e lo posso ben capire visto che si tratta della scopa che non so quante ore ci abbia passato insieme! Ma se pensava che la sua opera umanitaria fosse giá conclusa si sbagliava di grosso infatti, mentre tenta di allontanarsi alla chetichella, vedo Luciano che, rimessosi in piedi di scatto, lo chiama a gran voce “Signora scopa, signora scopa!”, suscitando l’ilaritá generale: ebbene, alla fine Lord Trail é riuscito pure a trovare il passaggio di ritorno verso la terra ferma per il giorno successivo!