27 maggio 2017

Passatore

 

 

Scritto da   LAURA  FAILLI

 

 

 

 

Passatore 2017, la Metamorfosi 

"Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto. Sdraiato nel letto sulla schiena dura come una corazza, bastava che alzasse un po' la testa per vedersi il ventre convesso, bruniccio, spartito da solchi arcuati; in cima al ventre la coperta, sul punto di scivolare per terra, si reggeva a malapena. Davanti agli occhi gli si agitavano le gambe, molto più numerose di prima, ma di una sottigliezza desolante."

Da alcuni giorni non mi sento bene, emicranie, irritabilità, astenia. Poi, due giorni prima della gara che aspettavo con trepidazione, ecco la Metamorfosi. Non sono un nero e lucido scarafaggio come Gregor Samsa nel raccapricciante racconto di Kafka, ma non mi sento molto dissimile. A due giorni dal Passatore a me, 54enne, inizia una copiosa emorragia, come se fossi ancora una donna giovane e fertile. Smarrita in questa assurda situazione, prigioniera in un corpo sempre più debole e meno ubbidiente, il pensiero, come quello di Gregor, è di restarmene a letto. Chissà, forse alzatesi le brume dell'alba queste strane mutazioni spariranno. Forse tornerò ad essere quella di prima, una donna forte, volitiva, ostinata, vivace.

"«Buon Dio,» pensò, «che mestiere faticoso ho scelto! Dover prendere il treno tutti i santi giorni... Ho molte più preoccupazioni che se lavorassi in proprio a casa, e per di più ho da sobbarcarmi questa tortura dei viaggi, l'affanno delle coincidenze, pasti irregolari e cattivi, contatti umani sempre diversi, mai stabili, mai cordiali. All'inferno tutto quanto!» Sentì un lieve pizzicorino sul ventre; lentamente, appoggiandosi sul dorso, si spinse più in su verso il capezzale, per poter sollevare meglio la testa, e scoprì il punto dove prudeva: era coperto di tanti puntolini bianchi, di cui non riusciva a capire la natura; con una delle gambe provò a toccarlo, ma la ritirò subito, perché brividi di freddo lo percorsero tutto."

I grandi classici vanno riletti più e più volte, perché dischiudono nuovi petali nascosti col passare degli anni e delle età, e per quanto io mi sia commossa fin da ragazza al dramma di Gregor Samsa, mai avrei pensato che Kafka stesse parlando proprio di me.

Ma la vita incalza, gli zaini sono pronti, si deve partire, si deve comunque uscire per strada e gli altri non vedono, o fanno finta di non vedere, la tua metamorfosi.

Ecco sono uno scarafaggio in fondo al gruppo dei 2700 partenti in Via de' Calzaiuoli, mi siedo sul bordo del marciapiede, mi rannicchio, ma un simpatico ciclista accompagnatore mi vede, o mi percepisce, forse intuisce la mia situazione, offre aiuto, io sfoggio un sorriso (sorridono, gli scarafaggi?), va tutto bene. "Darò anche a te l'acqua se ne avrai bisogno su per la salita", dice, come la Samaritana.

Il caldo quest'anno è scoppiato improvviso e per questo ancor più feroce. Cammino, cammino, dopo quattro minuti dal via raggiungo la linea di partenza, anche gli scarafaggi partono prima o poi.

Continuo a camminare, sono tra gli ultimi e mi godo la visione del Duomo e del Campanile che incombono su di me, povero insetto così sensibile ancora alla bellezza e alle opere dell'umano ingegno.

E sono ancora sulla strada, l'amica di tutti i barboni, di tutti i viandanti, di tutti i pellegrini e anche degli insetti, la Strada di Gaber: "è solo la Strada su cui puoi contare, la Strada è l'unica salvezza, c'è solo la voglia, il bisogno di uscire, di esporsi sulla Strada, nella Piazza...", e sulla Strada iniziano gli incontri, le amiche di tante corse, nuove conoscenze, chi ti conosce di nome e ti ferma per stringerti la mano, il popolo della Strada è variegato, confuso, spontaneo, commovente. Ci sono Franca e Patti, amiche di una vita, che faticano in coppia su e giù per l'Italia. C'è l'architetto Paolo, sempre pronto alle sue lucide analisi ricche di riferimenti colti. C'è Fiorenza, che poi arriverà al traguardo come donna finisher più anziana. C'è Teresa, che spesso hai letto nelle classifiche solo perché porta il tuo stesso cognome, ed oggi, magicamente, legge il tuo nome sulla maglietta, ti chiama, ci fermiamo, ci abbracciamo, "Teresa!" "Laura!" e ora non è più un nome col tuo stesso cognome, ma due grandi occhi azzurri, denti bianchi e riccioli a profusione.

Lo scarafaggio è felice di zampettare su per la salita di Fiesole, si affaccia al parapetto e si beve con gli occhietti una delle viste più belle del mondo, Firenze che si stende serica e luminosa come il corpo di un magnifico giovine sdraiato, languido,al sole.

Ma finalmente, dopo sei ore di lento sgambettare, cala la sera e sorgono prima i pianeti e poi le stelle: vedo Marte, Giove e Saturno, che più di tutti mi farà compagnia durante la notte, e mi inerpico sempre camminando su per la salita che porta alla Colla di Casaglia, ché la notte è il periodo più propizio a noi insetti, e ci scopriamo veloci e reattivi, con le antennine che individuano la via nell'oscurità illuminata dalla luce fluo delle lucciole vere e dalle mille lampadine intermittenti dei passatori.

Ma anche se le zampette sono sei, bisogna cambiare le scarpe e le calze alla Colla, e. perché no, pure tutto il resto, per togliersi la sporcizia di dosso e ripararsi un po' dall'umidità della lunga discesa nella notte. Perdo un sacco di tempo, ma esco dal tendone da scarafaggio pulito. No, non profumato, questo non lo si può pretendere da uno scarafaggio.

Inizio a stare veramente male, giramenti di testa, nausea, altre robe.

Marradi. E' la quinta volta in cinque anni che supero questi primi infausti 65 chilometri e il miracolo accade nuovamente. Saturno mi saluta col suo strascico di milioni di stelle e Venere appare nel cielo in tutto il suo fulgore e io sono lì, piccolo scarafaggio ancora sulla strada a osservare questo miracolo che è il vagito del giorno che nasce, e deve essere un parto doloroso, ma così ricco di promesse, di futuro, mentre impercettibilmente la notte scolora.

"Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu."

Metto le cuffie, ho scelto tutta la mia musica del cuore, scivolo leggera sulle note del Canone di Pachelbel, mi commuovo al "Lacrymosa", canticchio Cavalleria Rusticana e Halleluya di Cohen, mi dico che sono esattamente dove voglio essere, che amo questa corsa e la sento mia, vado in progressione.

Gli ultimi dieci chilometri sono segnati uno ad uno.

Di Giallo.

Poco importa che stavolta arrivo che è già giorno. Cioè mi dispiace, credo che un passatore buono vada chiuso prima dell'alba, ma la musica scorre nelle vene e io aumento il passo, negli ultimi 12 km il mio tempo sarà il 508° in assoluto, migliore di quello di 900 persone arrivate prima di me. Supero in continuazione decine di persone che camminano e pochissime che ancora corricchiano, mi guardano tutti, lo scarafaggio si è mutato in una giovane donna forte e volitiva, arrivo, felice come al primo bacio, e riparto indietro per andare a scortare un amico al suo primo Passatore, i primi due chilometri li percorro a piedi, poi una signora, Nicoletta, che nemmeno mi conosce, mi presta la sua bici e ne faccio altri tre in bici. Lo trovo, è lì, al 95esimo, raggiante.

Lo accompagno in bici, ma poi lo devo lasciare per riportare la bici alla signora Nicoletta, un vero angelo, e mi rifaccio pedibus calcantibus gli ultimi due chilometri. Il sole ora però è alto e ho molto caldo. Mi aspettano il ritorno col trenino e due notti di febbre e vomito, ma le zampette sembrano rientrate e dallo specchio mi guarda il volto pallido e pesto di una donna matura che ha concluso il suo quinto Passatore consecutivo.

Una donna matura nata sulla Strada.

 

 

C'è solo la Strada su cui puoi contare, la Strada è l'unica salvezza.

C'è solo la voglia, il bisogno di uscire, di esporsi, nella Strada, nella Piazza.

Perché il Giudizio Universale non passa per le case, le case dove noi ci nascondiamo.

Bisogna ritornare nella Strada, nella Strada per conoscere chi siamo.