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TUSCANY CROSSING 26 APRILE 2014 |
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Scritto da LAURA FAILLI
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Tuscany Crossing, ovvero Come una Minestrina in Brodo Valga Molto Più di Caviale e Champagne.
Da circa un anno, data della sua prima edizione, mi ronzava in testa l’idea di partecipare alla 100 km della Tuscany Crossing, un tracciato che attraversa tutti i punti salienti della val D’Orcia, che ritengo sia la parte più bella e paesaggistica della pur splendida provincia di Siena. Tanto più che quest’anno l’organizzazione, capitanata da Roberto Amaddii che quelle strade le conosce sasso dopo sasso, guado dopo guado, aveva cambiato il percorso, rendendolo ancora più variegato e vagamente inquietante, sia per le erte ripidissime, sia per quell’allontanarsi indefinito e perenne dalla meta finale. Impossibile ripercorrere con la mente tutte le anse del grande fiume del trail, tutti i poderi dalla vista mozzafiato, i mari di nebbia, le acque trasparenti, lo stillare della pioggia, i rami di alberi sempre più montani via via che salivamo di quota, arrivando ai mille metri dell’Ermicciolo. Monet, col suo rappresentare decine di volte le ninfee o la Senna a diverse ore del giorno, con diverse condizioni atmosferiche e cambiamenti di stagione, può dare l’idea di tutte le percezioni che invadono i cinque sensi durante un pellegrinaggio così lungo e impegnativo e bello. E forse io più fortunata di lui, che non aveva la lampada frontale che scopriva, nella solitudine del bosco e tra il richiamo degli animali notturni, ad una ad una la prossima balise, lungo il sentiero delle Sorgenti, con il suono del mio respiro e il fiato che si condensava per un attimo nell’alone luminoso a incastonare i miei pensieri come diamanti nella notte stellata e senza luna. Così, dopo aver ringraziato con questo scritto tutti coloro che mi hanno incitata con una parola e un sorriso (chi non lo ha fatto, tra coloro che conosco ed ho incontrato, non è degno di nota), tra cui gli splendidi Bruno e Mireno, colonne portanti del nostro podismo, e Stefano il Grigio, che ci ha fotografati, ho deciso di soffermarmi solo sul ristoro del Vivo D’Orcia, 84esimo km o giù di lì. Ci arrivo a buio fatto, lampada già accesa, dopo aver finito da tempo i liquidi e patito veramente la sete, raspando col mio bicchierino nelle pozzanghere. Qui trovo ragazzi che non conoscevo, ma molto premurosi, sorridenti, accoglienti, bravi in ciò che stanno facendo, che ci trattano uno ad uno come individui, non come ultimo drappello di folli donchisciotte. Mi servo copiosamente di frutta, formaggio, soppressata, ma poi arriva la domanda dal suono più dolce: “La vòi la minestrina?” Beh, effettivamente, un po’ di brodino caldo…. “Scusa, sai, ma la pastina s’è finita…” e mi porgono un piatto fumante di brodo in cui avevano pazientemente affettato tanti piccoli pezzi di formaggio, che si stavano meravigliosamente fondendo nel bollore sopraffino. Lazzaro deve essere uscito dalla tomba grazie a una minestrina siffatta, che mi sono trangugiata ingollandola a grandi cucchiaiate come un clochard, non risparmiando nemmeno la pettorina della giacca a vento. Il vincitore di Masterchef non avrebbe potuto preparare niente di più squisito. Bisogna andare, salutare quell’oasi di tepore e amicizia. Esco nel buio, cercando di restare insieme a un trenino di forti camminatori coi bastoncini, che presto però mi staccheranno lasciandomi a seguire, solitaria, i fuochi fatui delle balise verso una dimensione quasi estatica della stanchezza e del dolore in tutto il corpo. Ma dentro di me quel calore non si è spento, né si spengerà mai. Venite dunque l’anno prossimo al Tuscany Crossing, per il panorama e la corsa, certamente. Ma venite soprattutto per assaggiare il piatto più raffinato della cucina italiana, che solo all’ottantaquattresimo km viene cucinato. Solo lì in tutta Italia lo potrete gustare, ma continuerete ad assaporarlo lentamente, vogliosamente, su e giù per le strade della vita.
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